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“Colossi dai piedi di argilla”: i cleavages dei grandi attori internazionali

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11 gennaio 2023 – di Martina Besana

Secondo il vocabolario Treccani il cleavage è “la partizione tra due fronti distinti o contrapposti; divisione, spaccatura Cleavage | Treccani.  Questo termine, utilizzato in italiano nelle due pronunce inglese o francese, è in realtà stato mutuato quasi letteralmente da una teoria socio-politologica che ha avuto molta fortuna nel secolo scorso. Si tratta dell’analisi del politologo norvegese Stein Rokkan, che a metà del ‘900 si era interrogato sul ruolo che le divisioni e le spaccature nella società europea dell’epoca giocassero per spiegare il mutamento sociale e politico dell’Europa contemporanea. Rokkan, quindi, inaugurò la teoria del cleavage conciliando alla sociologia discipline diverse, quali la scienza politica, la storia e l’economia Cleavage e identità: una chiave di lettura della società europea | Carlo Colloca.

Ancora oggi le intuizioni dello studioso risuonano più attuali che mai per comprendere gran parte dei processi e dei fenomeni che caratterizzano la nostra epoca e che sono in grado di plasmare lo scenario macroeconomico, geopolitico e tecnologico dei prossimi anni. In particolare, il recupero del concetto di cleavage risulta assai utile per analizzare le fasi di crisi (o transizione) che stanno attraversando alcuni degli attori più rilevanti del sistema internazionale, i quali appaiono tutti in preda a forti scossoni di tipo sociale, culturale e politico.

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2 Commenti

Mario Ripa
Gennaio 14, 2023 at 11:42 am

E la situazione Europea? Nello specifico l’Italia che situazione vive. Non credo che l’Europa si priva di tensioni simili anche se forse più legate ad aspetti economici (che ovviamente hanno poi ricadute sociali), che ne dite?
Mario

    martina.besana
    Gennaio 14, 2023 at 1:40 pm

    Certo Mario! direi ottima osservazione, l’Europa in effetti è la “creatura” emblematica dal punto di vista della presenza dei cleavages, tanto che Rokkan partì proprio dal Vecchio Continente per sviluppare e poi applicare la sua teoria sulle fratture sociali. Tornando all’oggi, direi che è difficile il contrario, ovvero trovare aree e regioni europee in cui i cleavages non manifestano la loro intensità e magnitudo, finendo per riversarsi poi sull’infrastruttura economica e politica dell’UE. Senza per forza scomodare le contraddizioni italiane, è interessante l’esempio tedesco, in cui troviamo una profonda differenza e divergenza tra l’assetto industriale, culturale e sociologico dell’Est da quello dell’Ovest della Germania. Una nazione, quindi, che per quanto la si dipinga unita, solida e assolutamente compatta presenta in realtà una struttura interna per molti versi granitica, derivante dalla storia, in grado ancora oggi di plasmare gli equilibrismi politici tedeschi in Europa (e non solo). La necessità quasi esiziale di alimentare il proprio tessuto economico-industriale è praticamente un diktat per la dirigenza di Berlino, che sa bene di poter mantenere strutturalmente unito il paese solo evitando lacerazioni del comparto produttivo, le quali potrebbero amplificare le sottostanti (e ben più complesse) differenze sociali che animano la collettività della Paese e mettere così a repentaglio il “modello tedesco” che in Europa conosciamo bene. La Germania è solo uno dei tanti esempi, si potrebbero citare il caso spagnolo, quello Nord Irlandese, quello balcanico, quello kosovaro, ecc. E’ poi naturale aspettarsi che se gli stessi paesi europei presentano al proprio interno importanti cleavages socio-culturali, le divergenze si manifesteranno in modo ancora più complicato a livello europeo (il tutto, infatti, è diverso dalla semplice somma delle parti!). Da questa premessa ne può derivare una semplice quanto mai utile constatazione: i problemi che affliggono la tenuta dell’Unione Europa sono sicuramente di varia natura, ma nessuna soluzione può prescindere dal riconoscimento e da una adeguata presa in considerazione della presenza di queste “spaccature” sociali nella società europea, le quali continueranno a plasmare i fenomeno economici e politici che interessano e interesseranno l’Europa.

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