11 Ottobre 2023 – Martina Besana
Il recente scoppio delle ostilità israelo-palestinesi ha posto, tra tanti altri, l’ennesimo punto interrogativo che da un anno a mezzo a questa parte tutto il mondo si pone: “Come se ne esce?”.
Come se ne esce da una serie apparentemente scollegata di nuovi conflitti e scontri che sembrano emergere come “fiori in primavera” dopo anni, se non decenni, in cui il mondo sembrava in pace, almeno in superficie? Perché in fondo, la dichiarazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu nella mattina di sabato 7 ottobre sullo stato di guerra nel Paese in seguito a un letale attacco di Hamas nel sud di Israele, è solo l’ultimo di una sequenza di “scossoni” che in pochi mesi sta registrando l’ordine politico internazionale sotto la guida di Washington.
Un attacco a sorpresa senza precedenti dalla Striscia di Gaza, durante il quale i militanti dell’organizzazione politica e paramilitare palestinese islamista Hamas, supportati da migliaia di razzi, hanno sfondato la barriera di sicurezza di Israele e hanno devastato le comunità vicine, scatenando la violenta reazione dell’esercito israeliano.
Le ostilità in Medio Oriente si riaprono sotto gli occhi increduli del mondo, anzi di una sola parte del mondo: la nostra (!)
Nella quale siamo stati forse un po’ troppo miopi nei lunghi decenni in cui abbiamo vissuto di rendita dei cosiddetti “dividendi della pace” grazie al fatidico ombrello militare-nucleare degli Stati Uniti, nella convinzione economicistica che “laddove sarebbero passate le merci non sarebbero passati i carri armati”.
Un sogno infranto con l’attraversamento del confine russo-ucraino lo scorso febbraio 2022 da parte dei carri armati di Mosca e che continua a spezzare le speranze di chi credeva che i valori democratici e la pace sarebbero sempre di più divenuti delle costanti nelle relazioni tra Stati. Gli apparenti “disordini geopolitici” a cui assistiamo senza tregua sono tutti legati da un minimo comune denominatore: accadono mentre gli americani, in teoria e in pratica responsabili della tenuta dell’ordine internazionale, sono occupati più o meno direttamente su due fronti: in Ucraina contro la Russia e nel Pacifico in funzione anticinese, senza possibilità di mantenere una supervisione attiva e costante su altre zone del mondo da sempre instabili.
Per molti Paesi si tratta della classica dinamica: “togliersi un sassolino dalla scarpa” mentre il proprio “tutore (il)legale” è impegnato altrove. Gli eventi in questione che si sono susseguiti quasi ininterrottamente dal 2022 sono almeno 5:
1) L’invasione russa in Ucraina: una manovra militare che stupisce e inorridisce il mondo Occidentale a causa della brutalità dei combattimenti e per il ritorno nell’immaginario comune di un concetto da tempo dimenticato come quello della guerra simmetrica e di posizione, evocativo dei drammi delle due Guerre mondiali dello scorso secolo. Un conflitto che sembra poter ormai concludersi solo in una tragica maniera, ovvero con l’esaurirsi del capitale umano a disposizione di entrambi gli eserciti;
2) Lo scoppio della guerra tra l’esercito e i paramilitari in Sudan, che continua sottotraccia senza una concreta possibilità di risoluzione. Le ostilità vedono contrapposti il capo dell’esercito Abdel Fattah al-Burhan e il suo ex vice, il comandante delle Forze di supporto rapido (Rsf) Mohamed Hamdan Daglo, e si sono svolte principalmente a Khartoum e nella regione occidentale del Darfur. I combattimenti hanno provocato lo sfollamento di quasi 4,3 milioni di persone all’interno del Sudan, oltre a circa 1,2 milioni in più che sono fuggiti oltre confine. Un primo scricchiolio della “paventata stabilizzazione dell’Africa”.
3) Il colpo di Stato in Niger di fine luglio 2023, che segna l’inizio della fine della Francafrique, cioè la relazione “speciale”, di stampo neocoloniale, stabilita tra la Francia e le sue antiche colonie in Africa subsahariana. I Paesi Occidentali, per la prima volta in modo plastico, assistono allo scalzamento fisico di una ormai “ex potenza europea” da quello che soleva essere il suo “giardino di casa”. Il presunto coinvolgimento del gruppo di mercenari Wagner affiliato a Mosca, presente stabilmente in altre ex colonie francesi (Mali, Repubblica Centrafricana, Burkina Faso) ha aggravato le conseguenze strategiche per l’Europa, che ne esce sempre più indebolita nei contesti extra-europei.
4) La guerra-lampo in Nagorno-Karabakh di fine settembre intentata dall’Azerbaijan contro l’exclave armeno della Repubblica d’Artsakh: un conflitto in cui a dominare sono state soprattutto dinamiche interne di ispirazione storico-entica che ha rafforzato il ruolo della Turchia, alleato dell’Azerbaijan e membro instabile e non allineato agli interessi occidentali, fuori e dentro l’Alleanza NATO.
5) L’attacco missilistico di Hamas dalla Striscia di Gaza contro Israele di sabato 7 ottobre. Un atto che ha riacceso i riflettori internazionali sul Medio Oriente e che è uno degli attacchi (finora) meglio organizzati e realizzati dai miliziani palestinesi di Hamas con il chiaro obbiettivo di infliggere un danno d’immagine all’apparato militare e d’intelligence israeliano, colto completamente di sorpresa. Un obbiettivo più politico che militare (mentre questo articolo va in pubblicazione l’esercito israeliano sta già realizzando la controffensiva per rispondere agli attacchi di questi giorni) che potrebbe facilmente coinvolgere tanti altri attori (come Iran, Qatar, Libano e Cisgiordania), interessati alla momentanea distrazione americana sul dossier ucraino. Un evento che, però, mette anche in luce come il tentativo Occidentale di pacificazione Mediorientale, giunto all’ultimo capitolo con la firma degli Accordi di Abramo nel 2020 tra Israele e alcuni Paesi arabi (che avrebbe dovuto fare da anticamera ad un accordo d’intesa con l’Arabia Saudita, ora forse sfumato), non abbia avuto gli effetti sperati.
Ed è proprio l’impreparazione europea e americana di fronte al susseguirsi di queste crisi che segna un risvolto strategico importante perché sancisce l’erosione dell’influenza e del dominio globale delle potenze Occidentali. Da una parte, infatti, l’Europa è ormai l’unica a non aver avanzato alcun piano di pace per provare a porre rimedio al conflitto a lei più prossimo, cioè quello in Ucraina, dopo numerosi “tentativi” stilati da competitor e nemici illustri (Cina in testa).
D’altro canto, sono gli stessi Stati Uniti a presentarsi sempre più come garanti non responsabili e poco credibili dell’ordine da loro stessi creato. Due esempi confermano questa ipotesi: la prima è il ritiro rocambolesco dall’Afghanistan nel 2021 che ha decretato il fallimento dell’operazione di stabilizzazione del teatro afghano, il secondo sono le affermazioni di Jake Sullivan, Consigliere sulla Sicurezza Nazionale, appena una settimana prima dello scoppio delle ostilità in Israele secondo cui:
“La regione mediorientale è più stabile oggi di quanto non lo fosse mai stata negli ultimi due decenni” ‘The Middle East Region Is Quieter Today Than It Has Been in Two Decades’ – The Atlantic.
Quindi, da questa serie di conflittualità globale “come se ne esce”? Probabilmente il primo step per non essere più colti di sorpresa di fronte a crisi come quelle appena descritte è prendere coscienza che mantenere un ordine apparente di pace per una minima parte della popolazione mondiale, tra cui gli europei, è un’operazione costosa.
Non esiste alcun equilibrio internazionale che sia destinato a durare per sempre senza una costante e dispendiosa manutenzione da parte di un garante (negli ultimi trent’anni gli Stati Uniti attraverso il potere militare, economico-finanziario e soft power). Bisogna essere coscienti di ciò in un contesto in cui lo stesso padrino dell’ordine sarà sempre più impegnato a gestire crisi locali o regionali, nell’ottica di contenere il principale sfidante, la Cina, la cui minaccia strategica è sempre più incombente.
L’Europa deve rendersi conto che la pace ha sempre un prezzo: meglio quindi agire preventivamente, riscoprendo la faticosa arte della diplomazia e del compromesso, senza aspettare che la Storia, come già acadduto, bussi alla porta per chiedere il conto non ancora saldato.
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